Oggi racconto la storia di Ilaria e del Percorso di Coaching 1:1 insieme che l’ha portata a trasformare la sua passione per la bicicletta in VadoLibera, retreat per donne in bicicletta & community online.
Ilaria è cliente ed amica, dal 2020 lavoriamo insieme 1:1 e i cambiamenti di vita e di lavoro sono stati diversi: dal lasciare il suo lavoro come Store Manager e diventare guida e Health Coach per donne in bicicletta. In questa Live di Instagram, che trovi anche in Magnetico Podcast ripercorriamo insieme le tappe della crescita che ha fatto, come persona, e come imprenditrice.
L’irrequietezza iniziale
P.
Vuoi magari presentarti, dire qualcosa di te? Magari come mi hai conosciuto.
I.
Ti ho conosciuta nel 2020, Luglio 2020 mi sono imbattuta in un in un post del tuo blog in cui parlavi di cambiare lavoro a trent’anni. Ero in un momento della della mia vita di cambiamento, il cambiamento ha sempre un po’ fatto parte della della mia vita. Identificato anche un po’ all’esterno come irrequietezza.
Però in realtà era una parte di me che aveva bisogno di uscire, di esprimersi e quindi mi sono imbattuta in quel in quel post. Ho continuato a leggere un po’ gli articoli del tuo blog e qualcosa risonava e sentivo che insomma, poteva essere la cosa la cosa giusta per me contattarti. Perché in fondo sapevo che qualcosa dovevo cambiarla, ma non sapevo che cosa o come.
P.
Ah, guarda, ce l’ho qua sotto la mail che mi hai scritto. Ti ricordi che ti ho detto che volevo riprenderla perché secondo me ci aiuta ad iniziare questo tuo racconto? Nella mail ti presentavi brevemente e mi raccontavi che eri in un momento di grande confusione della tua vita, vivevi a Bolzano da quattro anni, ma eri originaria dell’Abruzzo, L’Aquila, e mi dicevi che eri arrivata a Bolzano per lavoro.
Continui così “Ad oggi non ho più certezze, o meglio, so quello che non voglio più fare. Così, dopo una lunga riflessione, ho deciso di prendere un’aspettativa dal lavoro con la convinzione che questo tempo non è una pausa dal lavoro, ma solo un temporeggiare per capire meglio cosa farò quando lo lascerò”. Wow, no? E ho subito detto figo, e ci siamo sentite. Da lì è iniziato questo nostro viaggio insieme. Questa esplorazione e il capire. Oggi parliamo proprio di questo, come capire e ascoltare la propria passione. Possiamo trasformare la passione in lavoro come è stato con VadoLibera e tutto quello che hai creato, No? Arrivi con con questa con confusione, però dentro hai quel qualcosa che ti parla.
I.
Sì, dentro c’era qualcosa comunque che che mi parlava e sentivo una spinta forte che poi non espressa, appunto, si trasformava in irrequietezza e malessere. Quello che pensavo in quel momento era che la sensazione che avevo era davvero forte, la ricordo bene, cioè era la sensazione di non avere alternativa. O di essere praticamente ferma, una situazione che non sapevo come cambiare. Sapevo solo che volevo cambiarla, quindi era proprio una sensazione di malessere profondo.
In realtà era un malessere del quale comunque avevo già avvertito l’esistenza da tanto tempo, perché il percorso che avevo seguito nella mia vita era stato comunque un percorso, un po’ più meno tracciato, non seguivo cioè l’immagine che mi era stata trasmessa di quella che sarei dovuta essere. Come se ci fosse un’idea giusta di me e che io dovessi in un qualche modo seguire. E oltretutto, per quanto avessi chiaramente fatto dei passaggi e degli step in linea con quell’immagine, sempre in maniera molto naturale, ho sempre cercato di andar fuori da quell’immagine.
Quindi da un lato la sensazione di doverla rispettare e dall’altro anche la frustrazione, il bisogno di uscirne fuori e la frustrazione per non essere più, diciamo in linea, con quell’immagine. Una sorta di senso di colpa, ma anche di paura del giudizio degli altri. Che poi prima di tutto era il giudizio che io avevo avevo di me.
La passione della bicicletta, i viaggi e la voglia di cambiamento
P.
Quando parli di quei momenti dove comunque riuscivi ad esprimere davvero te stessa ci vedo il tuo viaggio nell’Himalaya, l’esperienza che hai fatto lì. Questa l’hai fatta durante quella che possiamo chiamare “la tua vita precedente”, ma comunque era qualcosa che già ti faceva capire quello che davvero volevi, giusto? Vuoi dirlo a chi magari non lo sa.
I.
Sì, sono sempre andata alla ricerca di un vivere semplice, fatto di sentire piuttosto che di avere o di apparire. E tra i viaggi che ho fatto, c’è quello di Himalaya, quindi non ho mai, diciamo, fatto viaggi in relax per lo più. Ho scelto viaggi che fossero delle vere e proprie esperienze. Quindi sono andata in bicicletta in mountain bike nel nord dell’india, nella regione del Kashmir.
Ladakh in particolare è un territorio ai piedi dell’Himalaya e nel quale ho avuto quella che è stata una delle esperienze più incredibili della della mia vita. Oltre al fatto di pedalare in quota, quindi sui passi carrozzabili più alti al mondo, la cosa fantastica è stata proprio la sensazione di libertà e leggerezza che ho provato in un contesto dove le persone sono felici e sorridono, e ti scaldano anche solo con un sorriso, pur non non avendo magari quasi nulla o molto meno di quello che abbiamo noi.
E quando sono tornata da quell’esperienza, quello probabilmente è stato proprio il il momento, che è stato nel 2018 in cui ho preso consapevolezza in realtà, che c’era un distacco tra la vita che stavo facendo e quella che realmente avrei voluto. Perché, nel tornare a casa, mi sono sentita proprio fuori dalla realtà dove ero, non mi sono più sentita a mio agio nella vita che facevo.
P.
Da lì è iniziato tutto questo pensare, sentire, riflettere e capire anche che a Bolzano dov’eri per lavoro come manager non era non era più il posto per te. Cioè c’era questo richiamo da giù. Però non sapevi anche come questa cosa si sarebbe unita con il tuo lavoro. Mi ricordo che all’inizio tutto è partito con solo dei miei input. Dalle cose che avevamo capito insieme, come dei puntini, piano piano abbiamo unito tutto.
I.
Sì, sì, perché il contesto territoriale, quindi i posti in cui vivevo, e l’energia che sentivo intorno a me, è sempre stata importante. Io sono per le montagne, non per le grandi città, e piuttosto per una vita semplice, abbastanza tranquilla, e Bolzano sicuramente rappresentava alcune di queste cose ma non tutto. Mentre all’inizio, diciamo i primi due anni, la percepivo come un sentirmi ancora in vacanza, dopo non era più così. Perché quando arrivi in un posto e tutto è nuovo prima vedi il bello, le Dolomiti per esempio, poi, in un secondo momento, vedi altro. Quando è arrivata la quotidianità, e quel cercare di costruire la mia personale quotidianità, per quanto io sia una persona estremamente aperta alle conoscenze e alle persone, ho capito che quella non era la mia vita.
Mi scontravo però sempre con quella vocina dentro di me che mi diceva “Okay, tanto ti stuferei anche di star lì. E questa cosa non va bene.”
Come affrontare la paura del giudizio degli altri
P.
C’era la paura di cui parlavamo. Cioè, ti anticipavo che avremmo parlato dei giudizi rispetto a quelli che possono essere i nostri desideri. Qualcosa che sentiamo dentro e le rispettive censure del dirci “No, ma non va bene. Come mai nemmeno qui ti piace e quindi cosa ti piace? Non sei mai contenta!” Possono arrivare questi pensieri, quelli sono parte di quel bagaglio, di quello zaino, che dicevamo di lasciare andare. Vuoi dirlo tu? Cioè, che cosa c’era in questo zaino che hai capito di voler lasciare andare per permetterti di andare avanti?
I.
Allora questa cosa la ricordo perfettamente. Quando abbiamo abbiamo parlato di questo zaino, cioè dovendo affrontare una salita, se la prendo con uno zaino pesante pieno di roba che non mi serve, era comunque più faticoso. Lo zaino, principalmente era pieno di paura. Il concetto di paura è sempre stato legato a tanti livelli della mia vita, quindi tanti aspetti della mia vita. C’era sicuramente la paura del giudizio degli altri. Ma, come dicevo prima, anche la paura del giudizio mio, di me stessa.
Come se il fatto di non essere quella persona, quell’Ilaria che gli altri avrebbero voluto che io fossi non sarebbe andato bene, sicuramente questo. E poi sì, la paura giudizio è la cosa su cui poi forse abbiamo lavorato di più.
E poi c’erano anche tante altre cose, cioè la paura di come iniziare, di cosa fare, la paura di lasciare il lavoro e non riuscire a fare qualcosa di alternativo, di trovare qualcosa di alternativo, anche questo mi mi condizionava tanto. L’idea di non avere comunque delle competenze, o di non avere già un’idea completamente strutturata.
Cioè l’idea che per iniziare un’attività devi avere assolutamente e necessariamente già le idee chiare. Per esempio “voglio fare questo, so già come si fa, ho già un business plan pronto, so già tutte le risorse di cui avrò bisogno, qual è il budget di cui avrò bisogno, ho già addirittura i clienti per quella possibile attività”. E il non avere questo chiaramente mi spaventava tantissimo perché non pensavo che sarei stata sarei stata in grado. Quindi sicuramente avevo anche un’insicurezza mia, e dall’altro lato anche tutta una serie di pensieri che facevo su quello che ero, su una serie di cose che pensavo di me, che chiaramente non non mi aiutavano.
Trasforma la passione in lavoro, senza aspettare di avere tutto pronto
P.
Certo. Questa è una cosa super comune, questa del bisogno di avere il piano e tutto tutto pronto. Magari con te quando lavoriamo insieme non ho un modo di raccontarti tutto quello che mi dicono e mi arriva. Ma questa una di quelle cose che spesso le persone mi attaccano dicendomi “Patrizia tu parli molto di mindset, sei molto teorica, però a livello pratico? Cioè io ho bisogno di un piano”. E anche osservando nel tempo queste persone rimangono comunque ferme dove sono, quindi magari le sento dopo un anno, e non è che abbiano effettivamente trovato il piano, e siano andate avanti in quella cosa.
Lì c’è molto del perfezionismo, che è un senso di finta sicurezza. Cioè l’avere un piano ci dà in qualche modo il comfort e la finta sicurezza che noi siamo capaci perché abbiamo un’idea di perfezione che cerchiamo di raggiungere, anche attraverso la cosa scritta che abbiamo. Non serve avere tutto per iniziare. Cioè, non serve la struttura, avere già tutto pronto prima di prendere il passo. Perché è proprio nel prendere il passo che quella cosa ci dà forza. Vuoi dirlo anche tu?
I.
Perché in quel momento quello che ricordo era che, e questo magari può capitare anche oggi, qualsiasi cosa di nuovo che io intraprenda, perché non è tanto l’aver iniziato, o l’avere intrapreso già un progetto, un’attività, ci saranno ovviamente anche altre cose nuove. Quindi l’approccio fondamentalmente è ripetuto. E quello che ricordo era che il concentrarmi sull’idea di non avere gli strumenti, o di non avere qualcosa di pronto, in realtà faceva sì che tutte le mie energie fossero concentrate su un processo, e non su quello che era l’idea stessa, e sul perché lo stavo facendo. Lo volevo costruire su quella che era la mia, tra virgolette la chiamerei “missione”, su qual’era il mio perché.
P.
E anche il validare quell’idea, cioè l’imprenditore fa così, man mano che va avanti e ha un’idea la valida e procede, no? Cioè quello che mi piace sempre dire è la validiamo, grazie anche agli altri che ci dicono che va bene o meno, ma siamo in primis noi consapevoli di capire se va bene per noi o meno, alla luce del nostro perché. Alla luce di quello che che vogliamo fare.
I.
E e quindi quello che mi ha aiutato in quel momento sei stata sicuramente tu. È stata proprio l’idea di provare a fare, perché soltanto in quel modo in realtà avrei testato effettivamente. Più che altro poi avrei cominciato a vedere io come mi sentivo nel fare quelle cose e di riflettere ancora di più su quello che in realtà veramente volevo fare, quello che più mi faceva stare stare bene. E soprattutto anche verificare quanto poi le persone si riconoscessero in quello che stavo stavo facendo.
Nel trasformare la passione in lavoro non è che cosa fai, ma come lo fai
P.
Perché, e qui porto il tuo esempio, non è la cosa che fai, ma come lo fai. Quindi non sono semplicemente i tour in bicicletta che fai, che oggi sono retreat, cioè, non è la cosa che fai che determina un business, o un’attività che va, che inizia e che poi ha clienti. È il come lo fai, quindi è il tuo personale modo di declinare quella cosa lì, e questo è quello che è fa la differenza che fai, che porti alle persone e che fondamentalmente è la tua storia e il tuo perché, in particolare la tua attenzione a quello che fai.
Questo lo dico perché molto spesso online si parla molto di ricercare l’idea giusta, della cosa giusta. L’idea giusta in base ad una passione, la bicicletta, il ciclismo e l’esperienza all’aperto. Ma non stiamo parlando di cose, stiamo parlando di vissuti, di persone e di come dare significato a questi, che è il perché. Chiederci il perché faccio quella cosa. Qual è quel cambiamento che voglio vedere nel mondo con quella cosa? Qual è semplicemente il cambiamento che voglio vedere nella persona, nella vita, nella giornata, di quella persona che ho davanti. Mi ricordo che all’inizio parlavamo molto di turismo, di fare diversi tipi di tour, il focus era sul posto, e piano piano l’abbiamo trasformato nell’esperienza, perché tu hai ascoltato questo di te. Cioè quello che per te era il più importante, giusto?
I.
Sì, l’idea che più mi era venuta era legare la passione della bicicletta al territorio. La mia passione era sì la bici ma anche al territorio. Il farlo qui, in Abruzzo sul Gran Sasso, tra le montagne, mi aveva aiutata tanto nell’entrare proprio in contatto con me, oltre al fatto che è un territorio bellissimo, con poco traffico, quindi sicuramente il posto più adatto per vivere questa esperienza, questi tour. Quindi l’idea era quella di far vedere le mie montagne, le mie strade a tutti.
Poi, dalle prime esperienze che ho organizzato ho cominciato a rendermi conto che quello che si creava, e quello che io mettevo dentro, era più. Le persone che partecipavano se ne tornavano a casa arricchite di qualcosa di più umano, di condiviso. Al di là del semplice pedalare. E poi il movimento, la bicicletta, il movimento del corpo, il contatto con la natura e anche la condivisione femminile di tutto questo.
All’interno poi di una di un’atmosfera fatta di leggerezza, dove leggerezza non sta per superficialità, ma proprio la capacità, come dico sempre, di essere se stessa, e di portare quello che ciascuno di loro viveva in quel momento. Questo ha fatto sì che poi si incontrassero delle persone che potessero effettivamente, attraverso la loro esperienza, essere di aiuto alle altre. E quindi si sono creati dei legami anche in pochi giorni. Da lì ho cominciato a rendermi conto che c’era qualcosa di molto più grande che poteva nascere.
Oltre al fatto che, legato sempre ad un’idea che la donna ha sempre di sé. e qui non voglio essere una femminista sfegatata, ma la donna fa sempre molta più fatica a approcciare allo sport, a dei momenti per sé, rispetto a tutti quelli che sono i ruoli che la donna vive all’interno della quotidianità della vita, quindi magari mamma, moglie, imprenditrice, figlia, ecc. E a quel tra virgolette “normale” senso di colpa si vive proprio per il fatto che siamo anche geneticamente predisposte a prenderci cura del degli altri. Mi sono accorta che creare queste esperienze per le donne potesse essere uno stimolo, e potesse essere di ispirazione a prendersi del tempo per se stesse, che in realtà non c’è nulla di male nel prendersi del tempo da dedicare a sé.
Ascoltare quello che è più allineato te nel lavoro
P.
E poi quello che vai a condividere diventa anche uno stile di vita, non solo legato all’esperienza in sé, da cui adesso anche l’associazione VadoLibera, è quello che tu vuoi esprimere e portare nella vita delle persone anche come Health Coach. Hai ascoltato te stessa nel portare quella che è la tua personale esperienza, di come vivi tu il tuo tempo e la relazione con il tuo corpo, le tue giornate, la tua vita anche nella vita degli altri, no? Quindi questo è un ottimo esempio di come partiamo da una cosa, ma poi cioè la personalizziamo, aggiungiamo altre cose che la rendono unica.
Non c’è una formula per questo, non siamo tavoli Ikea che abbiamo le istruzioni dove quella è la e seguendo quella ha gli step. Ognuno ha le sue caratteristiche, ognuno ha anche il suo modo di creare quello che funziona. Ha funzionato per te e può non aver funzionato per altri. E di questo tu te ne sei resa conto, perché facendo ti rendi subito conto di questa cosa: partire da quello che tu osservi essere giusto e funzionale per te in quel momento senza strategie da fuori che ti dicono quello che che devi fare o no.
I.
Essendo il giudizio una cosa su cui ho continuato a lavorare poi tanto quando ho iniziato. Perché poi ho deciso di lasciare il lavoro ancor prima che finisse l’aspettativa.
P.
Ah si, non mi ricordavo questo. So che c’è stata una mia pressione da quel punto di vista, non perché tu dovessi fare qualcosa in particolare, specifico, perché fate quello che volete nella vostra vita, ma perché sapevo che avevi bisogno di prendere una decisione, quello sì, ti ricordi? Perché non era così forte per te continuare a non decidere.
I.
Sì, essere in aspettative era come avere un alibi, dire “c’è sempre questa cosa” senza arrivare mai ad un punto esatto. Quindi a volte provare un po’ di paura è sano.
P.
Assolutamente sì.
I.
E poi quello che quello che ho fatto all’inizio è stato guardarmi tanto l’esterno, quindi ho cercato di guardare, abbiamo fatto questo lavoro insieme, tutte quelle cose delle attività già esistenti, che avessero qualcosa in comune rispetto a quello che avrei voluto fare io, ma sapevo già di per sé che c’erano alcune cose di quelle attività, o delle persone con cui parlavo, che erano molto in linea con me, e altre cose che non erano assolutamente in linea con me. Quindi sapevo che non sarei stata né il copia e incolla di qualcun altro, tanto meno me ne sarei magari completamente differenziata. Quindi ho guardato all’esterno, diciamo per prendere quello che sentivo mio e che poteva aiutarmi da un lato, e dall’altro lato nel momento in cui ho iniziato l’attività anche all’esterno in quel momento sono tante le persone che sono arrivate a dirmi la loro.
P.
Hai avuto un sacco, ecco, questo volevo dirtelo, sei stata più volte messa alla prova dall’ambiente esterno, dagli amici. Che magari ti seguiranno anche adesso, quelli che ti conoscono da prima, o che avevano visto l’inizio. Che tipo di lavoro hai fatto? Perché hai fatto un ottimo lavoro qui.
I.
Allora, non sempre è stato facile, questo è ovvio. In alcuni momenti ho anche un po’ sofferto, ci sta, per quello che mi arrivava, e mi faceva soffrire. Ho iniziato a capire che era in realtà qualcosa che risuonava anche a me, e quindi se risuonava anche a me, voleva dire che forse c’era qualche pensiero mio su questo. Che c’era qualcosa di mio riguardante quell’affermazione, o quel pensiero che veniva dall’esterno. Quindi pian piano mi sono cominciata ad ascoltare anche su questo.
Ho cercato di guardarle come qualcosa di positivo, perché mi aveva permesso di vedere qualcosa che sennò non avrei non avrei visto.
P.
Esatto, quando arriva quella cosa che ci fa scattare dentro, che ci fa arrabbiare o rimanere male, ci sta mostrando dove c’è quel blocco. Quel blocco dentro di noi da lasciare andare per permettere di fluire. Permettere che nuove persone arrivino a noi, o che le persone giuste arrivino. Quindi è semplicemente un’informazione che il mondo ci sta dando attraverso quella persona per ricordarci che cosa lasciare andare. All’inizio eri davvero molto rigida con te, molto critica con te. Mi ricordo le tue frasi all’inizio, di messa in discussione, anche di quello che stava andando bene.
E poi piano piano, con la fiducia che sempre più è cresciuta e lasciando andare questo giudizio verso te stessa. È totalmente normale, perché i primi nemici siamo noi con noi stessi. Siamo noi che ci impediamo di arrivare dove effettivamente vogliamo, perché pensiamo che non sia possibile o “chi sono io per?”. Una delle frasi che dico sempre è che ci sono tantissime cose che noi non sappiamo e soprattutto se abbiamo la nostra attività, o se facciamo sempre cose nuove e diverse. Tutto sta nell’avere fiducia che siamo intelligenti abbastanza da imparare quella cosa. E questo poi l’hai subito messo in pratica, mi ricordo. Ed è così tutt’ora.
I.
Sì, esatto, pian piano ho iniziato a cominciare a vedere quello che facevo. Qui c’è stata un’altra cosa che abbiamo fatto insieme, un sacco di lavoro.
P.
Un sacco di zaini mollati. Beh, comunque lavoriamo insieme dal 2020, veramente da tanto tempo e continueremo, perché stiamo continuando a lavorare insieme nel Percorso di Coaching 1:1.
I.
Quindi lavorare sull’imparare a vedere cosa è stato fatto, cosa avevo fatto e cosa non volevo più fare. Perché il fatto di non vedersi come persone comporta qualcosa di più grande, riguarda tutto quello che è l’amore per se stessi, e per me stessa.
Il cambio di mindset per trasformare la passione in lavoro
P.
Qual è la cosa che ti ha aiutato, che più di tutte ti ha aiutato nel crescere professionalmente, a crescere la tua attività, in base alle tua esperienza? E quindi che cosa c’è stato dentro dei te che ha permesso quello, secondo te?
I.
Allora sicuramente il cambio di nel modo di pensare. Cioè nel fatto di entrare nell’idea che in realtà fosse possibile fare delle cose diverse rispetto a quello che avevo fatto. Cioè uscire fuori da un meccanismo, dallo schema in cui credevo che le cose si potessero fare solo in un determinato modo, o che fosse giusto fare alcune cose, e non fosse giusto farne altre. Cominciare a pensare che in realtà avrei potuto creare quello che quello che volevo, e che in fondo avrei potuto aiutare gli altri. Questo è poi diventato parte di me. Nel senso hanno sostituito anche a livello inconscio determinati pensieri che prima facevo, e probabilmente nemmeno sapevo.
Prima non pensavo che avrei potuto creare qualcosa di nuovo, o di poterlo fare partendo da quello che già magari sapevo fare, senza dover avere nessun tipo di organizzazione o struttura. E poi il fatto appunto di sapere di cominciare a credere che avrei potuto aiutare qualcuno.
P.
Bello. Bellissima soprattutto questa seconda parte, che ti sei permessa di poter aiutare qualcuno. Con anche tutto il tempo che ti ci è voluto piano piano, capirlo e sentirti pronta. Però è un ascoltare quel desiderio, seguirlo e vedere che ti torna indietro tanto. Una delle cose che dico è che tutti noi stiamo bene quando aiutiamo gli altri, quando quello che facciamo contribuisce a qualcosa. E permetterci di farlo e di usare quello che ci viene meglio fare, quindi in primis capirlo, e capire quello che ci piace, e permetterci poi di darlo agli altri è un dono. E sarebbe uno spreco per il mondo se noi non lo facessimo, no?
I.
Sì, quindi sarebbe bello ognuno di noi riuscisse a mettere a disposizione degli altri quello che sa fare.
P.
Esatto. E siamo qui per questo. Perché se ci sono persone che ci stanno ascoltando adesso, oppure ci ascoltano dopo, e magari hanno in mente di fare qualcosa, di avere una loro attività o avviare un progetto che possa contribuire nel mondo, questo è momento. Non aspettate!
Ho due domande che sono arrivate nel box. La prima è questa, c’è stato un momento di transizione, cioè passaggio netto dal tuo lavoro come manager e poi l’attività di VadoLibera, oppure no?
I.
Allora sicuramente il periodo di aspettativa da lavoro, in realtà questo era stato mosso anche da un ulteriore necessità di cambiamento, di rompere qualcosa. Ci fu una sorta di de-mansionamento, diciamo così, nel quale io riuscii a farmi togliere delle responsabilità. Pensavo che mi avrebbe permesso di avere più tempo da dedicare a quello che volevo portare avanti. In realtà così non è stato. Era comunque una situazione di comfort che non mi portava a dover fare il passo.
Un altro momento di transizione sicuramente è stato quando mi sono trasferita in Abruzzo. L’accettare e il permettermi di stare “senza fare niente”. Questo è stato un po’ difficile, e devo dire la verità, che c’è voluto tempo per accettarlo. Oggi dico che ho buttato di quel tempo, perché avrei potuto godermelo diversamente se non mi fossi posta il problema di “Non sto lavorando”. Mi dicevo “non sto lavorando né nell’azienda precedente, né tanto meno sto lavorando effettivamente già nella mia attività, oddio, il tempo passa”. E devo devo dire che anche l’esterno non mi hanno aiutata in questo.
Però oggi devo dire che il mondo esterno che ha infierito spesso su questo mio tempo dedicato a me, che forse è un po’ quell’anno sabbatico che non mi ero mai presa, anzi, ho sempre fatto tantissime cose che mi hanno permesso di fare esperienza ma non tanto di ascoltarmi. Quindi oggi ringrazio anche quell’ infierire perché mi ha reso più forte e convinta di quello che stavo facendo, trasformare la mia passione in lavoro. Quindi in qualche modo ha rafforzato ancora di più quello che volevo fare, questa è stato un po’ la transizione.
Gestire il tempo, e il rapporto con il tempo nel trasformare la passione in lavoro.
P.
Aggiungo una cosa, perché dietro a questa domanda sento molto la pressione del tempo. E anch’io ci sono passata, ho fatto anch’io la stessa tua scelta, ho lasciato un lavoro fisso per iniziare la mia attività senza sapere niente. Magari ancora più brave di quello che magari fate voi che lavorate con me, perché non avevo proprio alba di cosa sarei andata a fare. Ma quello che ho imparato guardandomi, e soprattutto lavorando con le persone, e dalla mia esperienza è questo: nell’arco di una vita intera, dove viviamo novant’anni, un anno è niente.
Quando sei lì, ti sembra tanto perché ti giudichi rispetto a dove pensi che dovresti già essere in quel tempo. Ma il tempo è relativo, sei mesi, un anno, o anche cinque anni, non vuol dire niente. L’importante è che non ci paragoniamo con gli altri o con un ideale che abbiamo di noi stessi, di voler cioè già essere in un certo posto dopo un determinato tempo. E quella cosa lì ci tiene nel futuro, ci fa perdere il presente e ci fa perdere la possibilità di creare, creare con chi ho davanti, creare dove sono in quel momento, che sia anche studiare, o creare contenuti, studiare e permettermi di andare avanti.
I.
Questa è stato è stata una cosa sulla quale ho lavorato costantemente, che significa proprio nella quotidianità. Tutte le volte in cui mi veniva l’idea, forse trenta o quaranta volte al giorno del “Sto perdendo tempo, sto perdendo tempo, non ho ancora creato nulla.” mi dovevo fermare e stare con quel pensiero. Ricordarmi cioè il perché stavo facendo quella cosa, mi ero presa quel tempo ed era stata una mia scelta. Qualcosa sicuramente sarebbe successo. Non è stato banale, soprattutto dopo i trent’anni. E in particolare per una donna non è sempre facile rapportarsi con l’idea del tempo che passa. All’idea di noi in quel determinato momento, a come ci saremmo volute sentire, o a quello che era giusto.
P.
Quello che mi aiuta in questo è ricordarmi dove, da dove sono partita. Nel senso, siamo in una società dove non è che partiamo tutti sullo stesso piano di partenza, perché c’è chi ha avuto meno possibilità, occasioni, e quindi si parte più indietro. Ma è totalmente okay, non vuol dire niente, perché il tempo relativo. È il pensiero che abbiamo del tempo che ci stanca, non è il tempo in sé, o il tempo che ci serve per fare quella cosa. È la pressione che mettiamo su noi stesse, sull’aspettativa, sul giudizio che poi diamo a noi. E se stiamo lì, è un continuo non essere mai abbastanza. È un continuo dover dimostrare a noi stesse per dire che possiamo farlo. Quando inverti questa catena, cioè la rompi, ti permetti di stupirti di quello che puoi fare anche in molto meno tempo.
I.
Soprattutto per me, che sono sempre stata abbastanza scellerata, cioè il tempo l’ho sempre visto come come qualcosa che in realtà correva, e avrei ho dovuto fare molte più cose. Quindi l’idea di dover fare tante cose in poco tempo mi metteva pressione. Pian piano il tempo ha perso quell’aspetto che aveva inizialmente, ed è diventato una risorsa.
P.
E l’hai apprezzato molto di più, ed è tutto quello che condividi oggi, ti seguo nelle stories in Instagram. Da lì si capisce e si vede come hai cambiato il tuo rapporto con il tempo e lo condividi con gli altri per ricordare di stare in quel momento, e di esserne grati e riconoscere quanto puoi fare anche in poco tempo. Stupendo, Brava! Ti faccio l’ultima domanda che ci è arrivata, “Cosa hai fatto non appena hai iniziato a dedicarti solo a VadoLibera?“
I.
Allora sicuramente ho continuato a lavorare su di me. Ho continuato a lavorare su di me come un impegno. E ho iniziato quindi a impegnarmi più con me stessa. E anche questo è, diciamo, un aspetto che è sempre tanto difficile, nel senso, ho sempre messo l’attenzione agli impegni che prendevo con gli altri, a volte anche andando contro, o comunque mettendo in secondo piano, gli impegni che avevo preso con me stessa.
“Okay, adesso quello che farai sarà una tua responsabilità” mi dissi che non c’è più scusa di dare la responsabilità all’esterno, ma dipenderà esclusivamente da me e da quanto io mi impegnerò con me stessa, e presterò fede agli impegni che ho preso. E poi ho imparato ad apprezzare il tempo che avevo creato a mia disposizione, che magari prima non avevo. E di questo ne sono grata ancora di più oggi. Ho poi continuato a cercare di capire cos’è che avrei voluto fare, provare a farlo, e ascoltare come mi sentivo nelle cose che facevo, e continuare a cercare di realizzarle.
P.
Bellissimo, perché quando ci ascoltiamo e ci prendiamo il tempo, mettendoci come priorità, ci impegniamo a rispettare quello che è importante per noi. E va a finire che lo facciamo. Se infatti mettiamo come importante quella cosa, non avremo motivo di non farla. Ti ricordi tutte le cose fatte, dai tour in Italia ai tour all’estero? Questa cosa la racconto spesso perché è bellissima. Mi ricordo che sono andata a Maiorca, in bicicletta. Io non sono una sportiva, e mi sono trovata a noleggiare una bicicletta perché non c’erano più macchine e motorini. Ho vissuto un’esperienza bellissima e ho detto “caspita, anche Ilaria dovrebbe andare in un’isola e fare i retreat lì”. Sono tornata e avevamo la sessione, io entro con questa idea, e tu entri con l’idea di organizzare qualcosa nelle isole.
E il resto è aggiungerlo al calendario, quello che aiuta nella relazione con il tempo è il calendario. Quindi, calendario alla mano, abbiamo bloccato il tempo. Ricordatevi che ogni spazio che noi creiamo, lo riempiamo. Se vogliamo creare qualcosa nella nostra vita, prendiamo il calendario, creiamo quello spazio e lo riempiamo. Parte tutto da lì.
Credere di poter cambiare come primo passo per trovare la propria strada
C’è una domanda di Elisa che è qui, anche lei è una mia cliente e ci dice: “Ciao ragazze, complimenti innanzitutto per il progetto, Stupendo! Io mi trovo nella situazione in cui mi sta stretto al lavoro, ma so ma non so ancora quale sarà la mia strada e la mia passione, complimenti per il tuo coraggio, davvero coinvolgente!” Vuoi dire qualcosa tu Ilaria per lei?
I.
Allora io penso che sicuramente troverà la sua strada. Quello che è importante in questo momento è cominciare a pensare, a credere di poter cambiare, e cominciare a convincersene, cioè a credere che ci sarà effettivamente la possibilità di farlo. Perché fin quando rimaniamo comunque nella zona di comfort nel dire “Okay, mi sta stretto però non so cosa fare” e quindi ci soffermiamo solo sulla situazione che stiamo vivendo, troveremo migliaia di scuse che ci impediranno di farlo.
E questo, purtroppo mi capita di sentirlo tanto. Il fatto che io avessi cambiato la mia vita a trentaquattro anni, non avessi dei figli, un matrimonio, ha portato le persone a dire “Okay, per lei è facile perché non ha magari una famiglia o ha una situazione diversa” oppure “Okay, sì, potrei cambiare, ma alla fine quello che ho è già magari abbastanza. Dovrei non lamentarmi troppo di quello che ho già perché in fondo dovrei anche essere grata al lavoro che ho, ci sono persone che non ce l’hanno”. Sono cose che ci raccontiamo costantemente. Cioè, quando sento questo, penso a me e mi chiedo “ma veramente non ho rinunciato a niente o non avevo niente da perdere?”
Arei potuto trovare tante scuse anch’io. Avevo un lavoro che mi permetteva di poter girare l’Italia, e il mondo, guadagnavo abbastanza bene. Tutte cose che mi hanno permesso di comprarmi una casa, di pagare un affitto, e di viaggiare. Degli orari flessibili che mi permettevano anche di portare avanti quella che era la mia passione. E avevo degli impegni economici a cui dover far fronte, e in più avevo trentaquattro anni, non ne avevo venti. Cioè ciascuno di noi può trovare delle scuse per non iniziare. Rispetto alla situazione, o sulla paura di non sapere che cos’è che che vuole fare. Quindi è cominciare a pensare effettivamente che sarà possibile per lei cambiare, cambiare qualcosa.
Essere disposta ad investire su di te
P.
Un bellissimo messaggio, grazie di averglielo dato, e mi ricorda quello che ho condiviso nel podcast che non ho ancora condiviso. Il primo punto di sette punti che è l’essere disposta a rischiare, cioè a investire su di te, dire “Scommetto tutto su di me!”. E questo sempre, ad ogni passaggio lungo la strada. In particolare all’inizio. Scommetto che ce la posso fare, e a costo anche di perdere tutto. Ma che non sarà mai un perdere tutto, perché se decido che quello è lo standard, quello sotto il quale non andiamo, rimane. Però la differenza è “l’essere disposta a” che è diverso.
Vuol dire che non dò quell’importanza a quella cosa per determinare chi sono. Io non sono il mio lavoro, la casa che ho, e lo stile di vita che ho. Io sono sempre l’artista di quell’arte. Quindi sono io che ho creato quelle cose. Come ho creato queste, le mantengo, o creo dell’altro. E di questo ce ne dimentichiamo, ci dimentichiamo che noi siamo i creatori di quella cosa. Più ci identifichiamo con quella cosa e più c’è l’identificazione, e quindi l’insicurezza e la paura. Perché è ovvio che se manca quella cosa chi siamo? Partendo invece da quello che siamo noi, e su questo con Elisa ci stiamo lavorando, la cosa poi esce, cioè il che cosa facciamo viene creato da lì.
I.
Vorrei aggiungere anche un’altra cosa, ne parlavo stamattina con Cristina rispetto anche a quella è stata l’ultima esperienza che ho avuto, che mi è stata offerta all’esterno e che ne abbiamo parlato anche noi.
P.
Magari diciamo che cos’è così chi ci sta ascoltando capisce. Per l’ultimo mese sei stata impegnata con riprese in tutta Italia seguendo il Giro d’Italia Express. Un’esperienza che fa parte del Giro d’Italia e va a valorizzare tutte le belle parti che abbiamo in Italia. E questo ha portato una produzione di un servizio durato un mese, un mese e mezzo forse anche addirittura, giusto?
Scegliere per come quella scelta ci fa sentire, anziché per il risultato
I.
Sì, è stato un bellissimo risultato per me, cioè non risultato, è stato bellissimo essere coinvolta in questo progetto. È stata un’esperienza diversa, bellissima, che mi ha permesso ancora di più di lavorare su me stessa. Molto spesso ci fermiamo a guardare il risultato, e ci valutiamo sulla base di ciò che abbiamo raggiunto e non non sulla base di come ci siamo sentiti mentre facevamo quelle cose. Se mentre facevamo quella cosa, siamo stati effettivamente noi stessi e abbiamo fatto quello che realmente ci piaceva. E quindi è importante come ci sentiamo quando facciamo le cose.
Infatti oggi pensavo anche all’andare in bici: non metto tanto l’attenzione su quanto vado forte, ma su come mi sento quando vado in bici. Che possa essere forte o piano, sulla base di come risponde il mio corpo, le mie gambe, se sono più stanca o meno stanca, se ho voglia di far fatica ecc.
P.
Bellissimo, è l’ascolto che tu porti del tuo corpo, che fai quando sei lì, e questo ti permette di farlo ache con gli altri. Aiuti gli altri a superare i loro limiti. Infatti è attraverso le nostre esperienze che riusciamo in qualche modo ad aiutare gli altri. In primis è applicando il concetto su di noi, e poi è molto più semplice farlo anche con gli altri.
Grazie di essere stata qui! Vuoi dire qualcosa dei tuoi prossimi tour?
I.
Sono felice di aver fatto questa live, l’abbiamo rimbalzata da un po’ do tempo, perché c’è da dirlo, sono sempre stata un po’ restia, quindi ho superato la mia paura nell’essere qui.
P.
Hai ragione, brava per essere qui, sei sopravvissuta. Sei sempre più rilassata e centrata, e penso che anche gli altri abbiano esperienza di te così.
I.
Sono contenta, in questo periodo mi concentrerò sul prossimo viaggio a Maiorca, a fine Maggio, nel periodo estivo in Abruzzo perché è il posto migliore per pedalare in questo periodo dell’anno, c’è poco traffico, i paesaggi sono fantastici, e anche i borghi permettono di entrare a contatto con la natura e con se stessi, quindi è il contesto più bello. E poi mi concentrerò sull’associazione, che vorrei fosse qualcosa non di passivo ma di attivo, e vorrei che le donne si sentissero parteciparti attive nel condividere i valori che stiamo portando avanti.
P.
Una community! Stai creando quella che è già una community, e piano piano darai nuovi spazi per permettere di connettersi e fare esperienze insieme. Spero di ispirarti in questo, con la Community 12 Mila Volte, nella quale ci sei anche tu.
Grazie per essere stata qui, ti voglio bene!
I.
Anch’io! Grazie, Ciao a tutti!